Foto di gruppo

L’astrazione della rappresentazione | Alice Rubbini

Foto: Rapicciano di Spoleto, anni 1990 da sinistra Riccardo Guarneri, Sandro Sanna, Renzogallo, Marco Tirelli, Daniela Fonti, Franco Ziliotto, Ettore Consolazione, Giuseppe Uncini, Nicola Carrino, Claudio Verna, Pietro Perrone, Claudia Peill, Carmen Gloria Morales

Abbiamo spesso parlato con Renzogallo dei suoi tanti progetti, che ogni volta si configurano come il risultato compiuto di una condizione volta ad una dinamica fruitiva totalizzante, in cui le tematiche di ricerca sono organizzate seguendo una geometria storica, un’indicazione cronologica degli elementi fondamentali del suo lavoro. Disegnando un ordine emozionale l’artista regola la disposizione di ogni cosa percorrendo una direzione assolutamente e fortemente sentimentale. Siamo sempre accompagnati all’opera e alla sua fruizione, siamo immersi nel giusto sentire, siamo parte attiva, occhi testimoni di una comunicazione interiore fatta di concentrazione e determinazione, di coscienza e trascendenza. La linea di riferimento razionale s’insinua e si confonde nella materia e nei contorni oggettuali rivelando allo stesso tempo un’indicazione istintiva che ci conduce inesorabilmente ad un confronto emozionale con il suo lavoro. Due dettagli che indicano il mezzo inafferrabile con cui l’artista scolpisce e struttura una spettacolarità del concetto, togliendo all’opera, con assoluta volontà e consapevolezza, ogni possibilità d’inutile eccesso lasciandoci pochi e centralizzanti elementi: i colori – e anche questi essenziali -, i legni, i metalli, per toccare subito il nucleo sensazionale della percezione.

Un fare composto di suggestioni con cui l’astrazione della figurazione non lascia spazio ad informazioni superflue, non gira intorno alle parole, l’obiettivo mira dritto alle parti vitali, al cuore, alla testa, al nostro stupore e al nostro turbamento. E poi ci sono anche la storia ed il presente, codici, simboli e metafore, e c’è il buio intorno alla luce intensa che si staglia sulle superfici e che esalta la linearità o la sinuosità dei profili.

L’artista insedia quindi luogo e situazione, narrazione e intuizione, atmosfera, contesti diversi e ricorrenti, necessari e unici, domina il colto scambio di energie che organizzano realtà e spazio. Le forme e i segni rievocati dalla rappresentazione, autobiografici e scenografici, nell’invasione e nell’invenzione, nella semplice quotidianità e nella complessa solennità delle sue opere sono una dimensione sospesa come un respiro di stupore, sono lirismo visivo sempre vigile, come la memoria delle cose più piacevoli, e sottolineano la sua particolare inclinazione a sfidarci in una provocazione percettiva diretta, semplice ma realmente stimolante: guardare o vedere, sentire o ascoltare, prendere fiato o vivere, in un attento rincorrersi tra natura e artificio, tra concreta evocazione e apparente, astratto oblio.

Mi piace molto la qualità forte e discreta di Renzogallo e condivido la sua inclinazione anti-invasiva nei confronti dell’arte e del mondo, l’essenzialità del dialogo silenzioso e sospeso che esprime  e la pluralità delle argomentazioni, l’accorta impaginazione delle sue allocuzioni antiteoriche, appassionate e persuasive. E quel che ancor più conquista e quasi provoca, è la suggestione e il magnetismo di un’operazione culturale e poetica che sa accostare la dimensione più fragile all’autorevolezza dell’imponenza, ovvero, il gioco e la sostanza delle proporzioni, la narrazione e il destino di un soggetto qualunque ma particolare e straordinario, come anche la sua stessa chiarezza e ineluttabilità. Renzogallo non teme il confronto con un simbolismo assolutistico e non si sottrae di fronte alla misura assoluta dell’universalità o, per meglio dire, non sfugge al presente, al passato e al futuro, alla tridimensionalità della storia, dell’arte, della poetica e dell’indagine estetica.

Quindi percezione e sentimento, seduzione, luogo e determinazione da ricondurre ad un’unica unità di equilibrio, insomma la sua è una reale necessità di tradurre armonia e simmetria, coerenza, come anche contorsione mentale a volte, ma sicuramente grande e cosciente affabulazione linguistica in assoluta opera d’arte.

Potrei citare tre tematiche particolari: “Bersagli”, “Anfore”, “Diario”, che tradurrei come l’invito ad assaporare la magia di vent’anni di ricerca stilistica facendo quasi un giro su sé stessi, guardandosi intorno e vedendo dentro, attraverso e al di là, osservando lo stile di un percorso intellettuale lungo una vita e riflettendo attentamente su ogni sua indicazione. L’immediatezza con cui l’artista riesce a legare e sintetizzare una distanza così ampia della sua attività con pochi elementi si chiama coerenza, ed è una dote che non conosce tempo. In fin dei conti, il tempo siamo noi, fragili, e la nostra necessità di scandire memorie ed esperienze, di dare un valore ai nostril mutamenti, di dare una forma al nostro presente continuo come possiamo.

Sì, Renzogallo sa abilmente e romanticamente porci di fronte ad un intenso contraddittorio, provocando ed incitando la nostra percezione, e afferrando con decisione il nostro equilibrio, sa mettere in gioco ogni nostra sensazione in un altalenare d’intensità materica, concettuale, filologica.

“Pensare il futuro attraverso la bellezza”, ad esempio, progetto/opera ambientale per il Campus dell’Università degli Studi della Tuscia, un enorme percorso territoriale che diramandosi da un nucleo centrale s’intreccia nella sua oggettività e struttura con materiali e traiettorie, cromatismi e sviluppo delle superfici, con il classicismo e la contemporaneità, dimensioni e orientamenti, con linee che si stagliano verticali e camminamenti orizzontali, con indicatori di percorrenza e basi di sosta incise dalle parole che ne compongono il titolo. La direzione e la speranza sono quindi già svelati e mescolati nella linearità del corpo scultoreo e nell’immaginata (poichè ancora progetto) presenza dello spettatore.

Un’opera che sarà immersa nel fascino della quotidianità e consumanta dalla giovinezza che crede in un futuro infinito e ideale, sognato e imparato attraverso la conoscenza consapevole e profonda del passato. In questo caso, ogni consueto rapporto con la scultura viene annullato perchè non c’è distanza contemplativa totalizzante – se non in una visione aerea -, nessuna protezione, nessun distacco dalla terra e dall’uomo. Il vuoto non è mancanza, evanescenza, espediente, ma respiro, attraversamento, natura. Il pieno è supporto, riferimento, passaggio, è materiale e colore, è tangibilità. La percorrenza è il viaggio, è una sensazione e inclinazione mentale, è un desiderio di conoscenza. L’opera è dinamica e mutevole, come le condizioni e il trascorrere del tempo ed il punto di vista da cui è guardata, come i nostri umori, le nostre passioni e il nostro sentire le cose, l’unicità dimora nelle circostanze e nella sua molteplicità di sfaccettature. Arte, quindi, che riassume e significa ogni mia parola sopra scritta, corpo e anima di un messaggio incessante, incisivo, vibrante; energia libera e dibattito sempre aperto, sempre ricettivo, sempre generoso. Una limpida e crescente tensione intellettuale, voce maestra di un’esperienza che si confronta e non si risparmia, riscattando dalla banalità e dalla sicurezza delle abitudini il nostro modo di osservare la vita. Arte che ha il potere di stravolgere ogni regola e di trovare il senso e la forma delle cose inafferrabili e delle emozioni inconfessabili.

gennaio 2012 / febbraio 2017